APPROFONDIMENTO INERENTE IL “CORRELATIVO OGGETTIVO” DI EUGENIO MONTALE.
Gli oggetti, le immagini e le voci della natura diventano per Montale gli emblemi, in cui è trascritto, in forme oscure e cifrate, il destino dell’uomo e soprattutto l’infelicità di una condizione (e di una condanna) esistenziale che, tramite il procedimento del correlativo oggettivo, Montale esprime nel componimento Spesso il male di vivere ho incontrato. Il male di vivere diventano così il rivo strozzato, il cavallo stramazzato e la foglia accartocciata e riarsa.
L’espressione correlativo oggettivo è stata usata per la prima volta da Thomas Stearns Eliot – con cui la ricerca montaliana presenta somiglianze significative (si propone la lettura de La terra desolata vv. 322-377, opera del 1921 in cui è presente il tema dell’aridità della vita e l’espressione orda incappucciata MOLTO SIMILE ALLA FOGLIA RIARSA DI MONTALE).
Il correlativo oggettivo in un certo senso si ricollega addirittura all’allegorismo medievale, usato da Dante (di cui vv. 49-54 dalla Divina Commedia, Inf., I), per cui gli elementi della natura rappresentano condizioni spirituali e materiali (lupa=avarizia come rivo strozzato=male di vivere).
Si propongono ora direttamente i brani:
Il correlativo oggettivo: Eugenio Montale, Spesso il male di vivere ho incontrato, sez. Ossi di seppia, da Ossi di seppia, 1925:
Spesso il male di vivere ho incontrato:era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
T.S.Eliot, La terra desolata (The Waste Land), 1921:
Qui non c’è acqua ma soltanto roccia
roccia e non acqua e la strada di sabbia
la strada che serpeggia lassù fra le montagne
che sono montagne di roccia senz’acqua
se qui vi fosse acqua ci fermeremo a bere
fra la roccia non si può né fermarsi né pensare
il sudore è asciutto e i piedi nella sabbia
vi fosse almeno acqua fra la roccia
bocca morta di montagna dai denti cariati che non può sputare
non si può stare in piedi qui non ci si può sdraiare né sedere
[…] Cos’è quel suono alto nell’aria
quel mormorio di lamento materno
chi sono quelle orde incappucciate che sciamano
su pianure infinite, inciampando nella terra screpolata
accerchiata soltanto dal piatto orizzonte
qual è quella città sulle montagne
che si spacca e si riforma e scoppia nell’aria violetta
torri che crollano
Gerusalemme Atene Alessandria
Vienna Londra
irreali
(Trad. it. Di R. Sanesi, in T.S. Eliot, Poesie, Bompiani, 1966)
Dante Alighieri, La Divina Commedia , Inf., I, vv. 49-54:
“Ed una lupa, che di tutte le brame
sembrava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch’uscia di sua vista,
ch’io perdei la speranza de l’altezza”.
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